Ezio, Venezia, Buonarigo, 1728

 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
  Parte del Foro romano con trono imperiale da un lato. Vista di Roma illuminata in tempo di notte con archi trionfali ed altri apparati festivi, preparati per celebrare le feste decennali e per onorare il ritorno d’Ezio vincitore di Attila.
 
 VALENTINIANO, MASSIMO e VARO con pretoriani e popolo
 
 MASSIMO
 Signor, mai con più fasto
 la prole di Quirino
 non celebrò d'ogni secondo lustro
 l'ultimo dì. Di tante faci il lume,
5l'applauso popolar turba alla notte
 l'ombra, i silenzi; e Roma
 al secolo vetusto
 più non invidia il suo felice Augusto.
 VALENTINIANO
 Godo ascoltando i voti
10che a mio favor sino alle stelle invia
 il popolo fedel, le pompe ammiro,
 attendo il vincitor, tutte cagioni
 di gioie a me. Ma la più grande è quella
 ch'io possa offrir colla mia destra in dono
15ricco di palme alla tua figlia il trono.
 MASSIMO
 Dall'umiltà del padre
 apprese Fulvia a non bramare un soglio;
 e a non sdegnarlo apprese
 dall'istessa umiltà. Cesare imponga,
20la figlia eseguirà.
 VALENTINIANO
                                  Fulvia io vorrei
 amante più, men rispettosa.
 MASSIMO
                                                      È vano
 temer che ella non ami
 quei pregi in te che l'universo ammira.
 (Il mio rispetto alla vendetta aspira).
 VARO
25Ezio si avanza. Io già le prime insegne
 veggo appressarsi.
 VALENTINIANO
                                     Il vincitor si ascolti;
 e sia Massimo a parte
 ne' doni che mi fa la sorte amica. (Valentiniano va sul trono servito da Varo)
 MASSIMO
 (Io però non oblio l'ingiuria antica).
 
 SCENA II
 
 EZIO preceduto da istromenti bellici, schiavi ed insegne de’ vinti, seguito da’ soldati vincitori, popolo, e detti
 
 EZIO
30Signor vincemmo. Ai gelidi Trioni
 il terror de' mortali
 fuggitivo ritorna. Il primo io sono
 che vedesse finora
 Attila impallidir. Presso a Pirene
35seco pugnammo; ivi a crudel cimento
 la barbarie e il valor vennero insieme.
 Giammai non vide il sole
 più numerosa strage. A tante morti
 era angusto il terreno. Il sangue corse
40in torbidi torrenti.
 Le minaccie ai lamenti
 si udian confuse e fra i timori e l'ire
 erravano indistinti
 i forti, i vili, i vincitori, i vinti.
45Né gran tempo dubbiosa
 la vittoria ondeggiò, timido alfine
 fugge il tiranno e cede
 di tante ingiuste prede,
 impacci al suo fuggir, l'acquisto a noi.
50Se una prova ne vuoi
 mira le vinte schiere,
 ecco l'armi, l'insegne e le bandiere.
 VALENTINIANO
 Ezio tu non trionfi
 d'Attila sol; nel debellarlo, ancora
55vincesti i voti miei. Tu rassicuri
 su la mia fronte il vacillante alloro.
 Tu il marzial decoro
 rendesti al Tebro; e deve
 alla tua mente, alla tua destra audace
60Italia tutta e libertade e pace.
 EZIO
 L'Italia i suoi riposi
 tutta non deve a me. V'è chi gli deve
 solo al proprio valore. All'Adria in seno
 un popolo di eroi s'aduna e cangia
65in asilo di pace
 l'istabile elemento.
 Con cento ponti e cento
 le sparse isole unisce;
 colle moli impedisce
70all'ocean la libertà dell'onde.
 E intanto su le sponde
 stupido resta il pellegrin che vede
 di marmi adorne e gravi
 sorger le mura, ove ondeggiar le navi.
 VALENTINIANO
75Chi mai non sa qual sia
 d'Antenore la prole? È noto a noi
 che più saggia d'ogni altro,
 alle prime scintille
 dell'incendio crudel ch'Attila accese,
80lasciò i campi e le ville
 e in grembo al mar la libertà difese.
 So già quant'aria ingombra
 la novella cittade e volgo in mente
 qual può sperarsi adulta,
85se nascente è così.
 EZIO
                                    Cesare, io veggo
 i semi in lei delle future imprese.
 Già s'avvezza a regnar. Sudditi i mari
 temeranno i suoi cenni; argine all'ire
 sarà de' regi e porterà felice
90con cento navi e cento
 ai tiranni dell'Asia alto spavento.
 VALENTINIANO
 Gli auguri fortunati
 secondi il ciel. Fra queste braccia intanto (Scende dal trono)
 tu del cadente impero e mio sostegno
95prendi d'amore un pegno. A te non posso
 offrir che i doni tuoi. Serbami amico
 quei doni istessi e sappi
 che fra gli acquisti miei
 il più nobile acquisto Ezio tu sei.
 
100   Se tu la reggi al volo,
 su la tarpea pendice
 l'aquila vincitrice
 sempre tornar vedrò.
 
    Breve sarà per lei
105tutto il camin del sole
 e allora i regni miei
 col ciel dividerò. (Parte con Varo e pretoriani)
 
 SCENA III
 
 EZIO, MASSIMO e poi FULVIA
 
 MASSIMO
 Ezio donasti assai
 alla gloria, al dover; qualche momento
110concedi all'amistà. Lascia ch'io stringa
 quella man vincitrice.
 EZIO
                                           Io godo amico
 nel rivederti e caro
 m'è l'amor tuo de' miei trionfi al paro.
 Ma Fulvia ove si cela?
115Che fa? Dov'è? Quando ciascun s'affretta
 su le mie pompe ad appagar le ciglia,
 la tua figlia non viene?
 MASSIMO
                                            Ecco la figlia.
 EZIO
 Cara, di te più degno
 torna il tuo sposo e al volto tuo gran parte
120deve de' suoi trofei. Fra l'armi e l'ire
 mi fu sprone egualmente
 e la gloria e l'amor; né vinto avrei,
 se premio ai miei sudori
 erano solo i trionfali allori.
125Ma come! Ai dolci nomi
 e di sposo e di amante
 ti veggio impallidir! Doppo la nostra
 lontananza crudel così m'accogli?
 Mi consoli così?
 FULVIA
                                (Che pena!) Io vengo...
130Signor...
 EZIO
                   Tanto rispetto
 Fulvia con me! Perché non dir «mio fido»?
 Perché «sposo» non dirmi? Ah tu non sei
 per me quella che fosti.
 FULVIA
                                             Oh dio, son quella.
 Ma... senti... Ah genitor per me favella.
 EZIO
135Massimo non tacer.
 MASSIMO
                                       Tacqui finora
 perché coi nostri mali a te non volli
 le gioie avvelenar. Si vive amico
 sotto un giogo crudele. Anche i pensieri
 imparano a servir. La tua vittoria
140Ezio ci toglie alle straniere offese,
 le domestiche accresce. Era il timore
 in qualche parte almeno
 a Cesare di freno; or che vincesti,
 i popoli dovranno
145più superbo soffrirlo e più tiranno.
 EZIO
 Io tal nol credo. Almeno
 la tirannide sua mi fu nascosa.
 Che pretende? Che vuol?
 MASSIMO
                                                 Vuol la tua sposa.
 EZIO
 La sposa mia! Massimo, Fulvia, e voi
150consentite a tradirmi?
 FULVIA
                                            Ahimè.
 MASSIMO
                                                            Qual arte?
 Qual consiglio adoprar? Vuoi che l'esponga,
 niegandola al suo trono,
 d'un tiranno al piacer? Vuoi che su l'orme
 di Virginio io rinovi
155per serbarla pudica
 l'esempio in lei della tragedia antica?
 Ah tu solo potresti
 franger i nostri ceppi,
 vendicar i tuoi torti. Arbitro sei
160del popolo e dell'armi; a Roma oppressa,
 all'amor tuo tradito
 dovresti una vendetta. Alfin tu sai
 che non si svena al cielo
 vittima più gradita
165d'un empio re.
 EZIO
                              Che dici mai! L'affanno
 vince la tua virtù. Giudice ingiusto
 delle cose è il dolor. Sono i monarchi
 arbitri della terra,
 di loro è il cielo. Ogn'altra via si tenti
170ma non l'infedeltade.
 MASSIMO
                                          Anima grande!
 al par del tuo valore
 ammiro la tua fé che più costante
 nelle offese diviene.
 (Cangiar favella e simular conviene).
 FULVIA
175Ezio così tranquillo
 la sua Fulvia abbandona ad altri in braccio?
 EZIO
 Tu sei pur d'ogni laccio
 disciolta ancora. Io parlerò, vedrai
 tutto cangiar d'aspetto.
 FULVIA
                                             Oh dio se parli
180temo per te.
 EZIO
                          L'imperator finora
 dunque non sa ch'io t'amo?
 MASSIMO
                                                     Il vostro amore
 per tema io gli celai.
 EZIO
                                        Questo è l'errore.
 Cesare non ha colpa; al nome mio
 avria cangiato affetto. Egli conosce
185quanto mi deve e sa ch'opra da saggio
 l'irritarmi non è.
 FULVIA
                                  Tanto ti fidi!
 Ezio mille timori
 mi turban l'alma. È troppo amante Augusto,
 troppo ardente tu sei. Rifletti oh dio,
190pria di parlar. Qualche funesto evento
 mi presagisce il cor. Nacqui infelice
 e sperar non mi lice
 che la sorte per me giammai si cangi.
 EZIO
 Son vincitor, sai che t'adoro e piangi?
 
195   Pensa a serbarmi o cara
 i dolci affetti tuoi;
 amami e lascia poi
 ogn'altra cura a me.
 
    Tu mi vuoi dir col pianto
200che resti in abbandono.
 No, così vil non sono
 e meco ingrato tanto
 no, Cesare non è.
 
 SCENA IV
 
 MASSIMO e FULVIA
 
 FULVIA
 È tempo o genitore
205che uno sfogo conceda al mio rispetto.
 Tu pria d'Ezio all'affetto
 prometti la mia destra, indi m'imponi
 ch'io soffra, ch'io lusinghi
 di Cesare l'amore e mi assicuri
210che di lui non sarò. Servo al tuo cenno,
 credo alla tua promessa e quando spero
 d'Ezio stringer la mano,
 ti sento dir che lo sperarlo è vano.
 MASSIMO
 Io d'ingannarti, o figlia,
215mai non ebbi in pensier. T'accheta; alfine
 non è il peggior de' mali
 il talamo di Augusto.
 FULVIA
                                         E soffrirai
 ch'abbia sposa la figlia
 chi della tua consorte
220insultò l'onestà? Così ti scordi
 l'offese dell'onor? Così ti abbagli
 del trono allo splendor?
 MASSIMO
                                             Vieni al mio seno
 degna parte di me. Quell'odio illustre
 merita ch'io ti scopra
225ciò che dovrei celar. Sappi che ad arte
 dell'onor mio dissimulai le offese.
 Perde l'odio palese
 il luogo alla vendetta. Ora è vicina,
 eseguirla dobbiam. Sposa al tiranno,
230tu puoi svenarlo o almeno
 agio puoi darmi a trapassargli il seno.
 FULVIA
 Che sento! E con qual fronte
 posso a Cesare offrirmi
 coll'idea di tradirlo? Il reo disegno
235mi leggerebbe in faccia. Ai gran delitti
 è compagno il timor. L'alma ripiena
 tutta della sua colpa
 teme sé stessa, è qualche volta il reo
 felice sì, non mai sicuro. E poi
240vindice di sua morte
 il popolo saria.
 MASSIMO
                              L'odia ciascuno,
 vano è il timor.
 FULVIA
                               T'inganni; il volgo insano
 quel tiranno talora,
 che vivente abborisce, estinto adora.
 MASSIMO
245Tu l'odio mi rammenti e poi dimostri
 quell'istessa freddezza
 che disaprovi in me!
 FULVIA
                                         Signor perdona
 se libera ti parlo. Un tradimento
 io non consiglio allora
250che una viltà condanno.
 MASSIMO
                                              Io ti credea
 Fulvia più saggia e men soggetta a questi
 di colpa e di virtù lacci servili,
 utili all'alme vili,
 inutili alle grandi.
 FULVIA
                                    Ah non son questi
255quei semi di virtù che in me versasti
 da' miei primi vagiti infino ad ora.
 M'inganni adesso o m'ingannasti allora?
 MASSIMO
 Ogni diversa etade
 vuol massime diverse; altro ai fanciulli,
260altro agli adulti è d'insegnar permesso.
 Allora io t'ingannai.
 FULVIA
                                       M'inganni adesso.
 Che l'odio della colpa,
 che l'amor di virtù nasce con noi,
 che da' principi suoi
265l'alma ha l'idea di ciò che nuoce o giova
 mel dicesti, io lo sento, ognun lo prova.
 E se vuoi dirmi il ver, tu stesso, o padre,
 quando toglier mi tenti
 l'orror di un tradimento, orror ne senti.
270Ah se cara io ti sono
 pensa alla gloria tua, pensa che vai...
 MASSIMO
 Taci importuna, io t'ho sofferta assai.
 Non dar consiglio, consigliar se brami,
 le tue pari consiglia.
275Rammenta ch'io son padre e tu sei figlia.
 FULVIA
 
    Caro padre a me non dei
 rammentar che padre sei.
 Io lo so; ma in quegli accenti
 non ritrovo il genitor.
 
280   Non son io che ti consiglia;
 è il rispetto d'un regnante,
 è l'affetto d'una figlia,
 è il rimorso del tuo cor.
 
 SCENA V
 
 MASSIMO
 
 MASSIMO
 Che sventura è la mia! Così ripiena
285di malvaggi è la terra e quando poi
 un malvaggio vogl'io son tutti eroi.
 Un oltraggiato amore
 d'Ezio gli sdegni ad irritar non basta;
 la figlia mi contrasta; eh di riguardi
290tempo non è. Precipitare ormai
 il colpo converrà. Troppo parlai.
 Pria che sorga l'aurora
 mora Cesare, mora. Emilio il braccio
 mi presterà. Che può avvenirne? O cade
295Valentiniano estinto e pago io sono.
 O resta in vita; ed io farò che sembri
 Ezio il fellon. Facile impresa. Augusto
 invido alla sua gloria,
 rivale all'amor suo, senza opra mia
300il reo lo crederà. S'altro succede
 io saprò dagli eventi
 prender consiglio. Intanto
 il commettersi al caso
 nell'estremo periglio
305è il consiglio miglior d'ogni consiglio.
 
    Il nocchier che si figura
 ogni scoglio, ogni tempesta
 non si lagni se poi resta
 un mendico pescator.
 
310   Darsi in braccio ancor conviene
 qualche volta alla fortuna,
 che sovente in ciò che avviene
 la fortuna ha parte ancor.
 
 SCENA VI
 
 Camere imperiali istoriate di pitture.
 
 ONORIA e VARO
 
 ONORIA
 Del vincitor ti chiedo
315non delle sue vittorie, esse abbastanza
 note mi son. Con qual sembiante accolse
 l'applauso popolar? Serbava in volto
 la guerriera fierezza? Il suo trionfo
 gli accrebbe fasto o mansueto il rese?
320Questo narrami, o Varo, e non l'imprese.
 VARO
 Onoria, a me perdona
 se degli acquisti suoi più che di lui
 la germana di Augusto
 curiosa io credei. Sembrano queste
325sì minute richieste
 d'amante più che di sovrana.
 ONORIA
                                                       È troppa
 questa del nostro sesso
 misera servitù. Due volte appena
 si ode dai labri nostri
330un nome replicar che siamo amanti.
 Parlano tanti e tanti
 del suo valor, delle sue gesta e vanno
 d'Ezio incontro al ritorno, Onoria sola
 nel soggiorno è rimasta,
335non vi accorse, nol vide e pur non basta.
 VARO
 Un soverchio ritegno
 anche d'amore è segno.
 ONORIA
                                             Alla tua fede,
 al tuo lungo servir tolero o Varo
 il parlarmi così. Ma la distanza,
340ch'è dal suo grado al mio, teco dovrebbe
 difendermi abbastanza.
 VARO
                                              Ognuno ammira
 d'Ezio il valor, Roma l'adora, il mondo
 pieno è del nome suo; fino i nemici
 ne parlan con rispetto;
345ingiustizia saria negargli affetto.
 ONORIA
 Giacché tanto ti mostri
 ad Ezio amico, il suo poter non devi
 esagerar così. Cesare è troppo
 d'indole sospettosa.
350Vantandolo al germano, ufficio grato
 all'amico non rendi.
 Chi sa... Potrebbe un dì... Varo m'intendi!
 VARO
 Io che son d'Ezio amico
 più cauto parlerò; ma tu se l'ami
355mostrati, o principessa,
 meno ingegnosa in tormentar te stessa.
 
    Se un bell'ardire
 può innamorarti,
 perché arrossire,
360perché sdegnarti
 di quello strale
 che ti piagò?
 
    Chi si fe' chiaro
 per tante imprese
365già grande al paro
 di te si rese,
 già della sorte
 si vendicò.
 
 SCENA VII
 
 ONORIA
 
 ONORIA
 Importuna grandezza
370tiranna degli affetti, e perché mai
 ci nieghi, ci contrasti
 la libertà d'un ineguale amore,
 se a difender non basti il nostro core.
 
    Quanto mai felici siete
375innocenti pastorelle
 che in amor non conoscete
 altra legge che l'amor.
 
    Ancor io sarei felice,
 se potessi all'idol mio
380palesar, come a voi lice,
 il desio di questo cor.
 
 SCENA VIII
 
 VALENTINIANO e MASSIMO
 
 VALENTINIANO
 Ezio sappia ch'io bramo (Ad una comparsa)
 seco parlar, che qui l'attendo. Amico
 comincia ad adombrarmi
385la gloria di costui. Ciascun mi parla
 delle conquiste sue; Roma lo chiama
 il suo liberator; egli sé stesso
 troppo conosce; assicurarmi io deggio
 della sua fedeltà. Voglio d'Onoria
390al talamo inalzarlo, acciò che sia
 suo premio il nodo e sicurezza mia.
 MASSIMO
 Veramente per lui giunge all'eccesso
 l'idolatria del volgo; ormai si scorda
 quasi del suo sovrano
395e un suo cenno potria...
 Basta, credo che sia
 Ezio fedele e il dubitarne è vano.
 Se però tal non fosse, a me parrebbe
 mal sicuro riparo
400tanto inalzarlo.
 VALENTINIANO
                              Un sì gran dono ammorza
 l'ambizion d'un'alma.
 MASSIMO
                                           Anzi l'accende.
 Quando è vasto l'incendio, è l'onda istessa
 alimento alla fiamma.
 VALENTINIANO
                                           E come io spero
 sicurezza miglior? Vuoi ch'io m'impegni
405su l'orme de' tiranni? E ch'io divenga
 all'odio universale oggetto e segno?
 MASSIMO
 La prima arte del regno
 è il soffrir l'odio altrui. Giova al regnante
 più l'odio che l'amor; con chi l'offende
410ha più ragion di esercitar l'impero.
 VALENTINIANO
 Massimo, non è vero,
 chi fa troppo temersi
 teme l'altrui timor. Tutti gli estremi
 confinano fra loro. Un dì potrebbe
415il volgo contumace
 per soverchio timor rendersi audace.
 MASSIMO
 Signor, meglio d'ogn'altro
 sai l'arte di regnare. Hanno i monarchi
 un lume ignoto a noi; parlai finora
420per zelo sol del tuo riposo e volli
 rammentar che si deve
 ad un periglio opporsi infin ch'è lieve. (Parte)
 
 SCENA IX
 
 VALENTINIANO, poi EZIO
 
 VALENTINIANO
 Del ciel felice dono
 sembra il regno a chi sta lunge dal trono.
425Ma sembra il trono istesso
 dono infelice a chi gli sta dappresso.
 EZIO
 Eccomi al cenno tuo.
 VALENTINIANO
                                        Duce, un momento
 non posso tolerar d'esserti ingrato.
 Il Tebro vendicato,
430la mia grandezza, il mio riposo e tutto
 del senno tuo, del tuo valore è frutto.
 Se prodigo ti sono
 anche del soglio mio, rendo e non dono.
 Onde in tanta ricchezza allor che bramo
435l'opre premiar d'un vincitore amico,
 trovo, chi 'l crederia! ch'io son mendico.
 EZIO
 Signor, quando fra l'armi
 a pro di Roma, a pro di te sudai,
 nell'opra istessa io la mercé trovai.
440Che mi resta a bramar? L'amor d'Augusto
 quando ottener poss'io,
 basta questo al mio cor.
 VALENTINIANO
                                              Non basta al mio.
 Vuo' che il mondo conosca
 che se premiarti appieno
445Cesare non poté, tentollo almeno.
 Ezio, il cesareo sangue
 si unisca al tuo. D'affetto
 darti pegno maggior non posso mai.
 Sposo d'Onoria al nuovo dì sarai.
 EZIO
450(Che ascolto!)
 VALENTINIANO
                             Non rispondi?
 EZIO
                                                          Onor sì grande
 mi sorprende a ragion. D'Onoria il grado
 chiede un re, chiede un trono
 ed io regni non ho, suddito io sono.
 VALENTINIANO
 Ma un suddito tuo pari
455è maggior d'ogni re. Se non possiedi,
 tu doni i regni; e il possedergli è caso;
 il donargli è virtù.
 EZIO
                                    La tua germana
 signor deve alla terra
 progenie di monarchi e meco unita
460vassalli produrria. Sai che con questi
 ineguali imenei
 ella a me scende, io non m'inalzo a lei.
 VALENTINIANO
 Il mondo e la germana
 nell'illustre imeneo punto non perde.
465E se perdesse ancor, quando all'imprese
 di un eroe corrispondo,
 non può lagnarsi e la germana e il mondo.
 EZIO
 No, consentir non deggio
 che comparisca Augusto
470per esser grato ad uno, a tanti ingiusto.
 VALENTINIANO
 Duce, fra noi si parli
 con franchezza una volta. Il tuo rispetto
 è un pretesto al rifiuto. Alfin che brami?
 Fors'è picciolo il dono? O vuoi per sempre
475Cesare debitor? Superbo al paro
 di chi troppo richiede
 è colui che ricusa ogni mercede.
 EZIO
 E ben, la tua franchezza
 sia di esempio alla mia. Signor tu credi
480premiarmi e mi punisci.
 VALENTINIANO
                                                Io non sapea
 che a te fosse castigo
 una sposa germana al tuo regnante.
 EZIO
 Non è gran premio a chi d'un'altra è amante.
 VALENTINIANO
 Dov'è questa beltà che tanto indietro
485lascia il merto d'Onoria? È a me soggetta?
 Onora i regni miei? Stringer vogl'io
 queste illustri catene.
 Spiegami il nome suo.
 EZIO
                                            Fulvia è il mio bene.
 VALENTINIANO
 Fulvia!
 EZIO
                 Appunto. (Si turba).
 VALENTINIANO
                                                        (O sorte!) Ed ella
490sa l'amor tuo?
 EZIO
                             Non credo.
 (Contro lei non s'irriti).
 VALENTINIANO
                                              Il suo consenso
 prima ottener procura.
 Vedi se tel contrasta.
 EZIO
 Quello sarà mia cura, il tuo mi basta.
 VALENTINIANO
495Ma potrebbe altro amante
 ragione aver sopra gli affetti suoi.
 EZIO
 Dubitarne non puoi. Dov'è chi ardisca
 involar temerario una mercede
 alla man che di Roma il giogo scosse?
500Costui non veggo.
 VALENTINIANO
                                   E se costui vi fosse?
 EZIO
 Vedria ch'Ezio difende
 gli affetti suoi come gl'imperi altrui.
 Temer dovrebbe...
 VALENTINIANO
                                     E se foss'io costui?
 EZIO
 Saria più grande il dono
505se costasse uno sforzo al cor d'Augusto.
 VALENTINIANO
 Ma non chiede un vassallo al suo sovrano
 uno sforzo in mercede.
 EZIO
 Ma Cesare è il sovrano, Ezio lo chiede.
 Ezio che fin ad ora
510senza premio servì. Cesare a cui
 è noto il suo dover, che i suoi riposi
 sa che gode per me, che al voler mio
 quando il soglio abbandona,
 sa che rende, e non dona, e che un momento
515non prova fortunato
 per tema sol di comparirmi ingrato.
 VALENTINIANO
 (Temerario). Credea
 nel rammentarti io stesso i merti tuoi
 di scemartene il peso.
 EZIO
                                           Io gli rammento
520quando in premio pretendo...
 VALENTINIANO
 Non più. Dicesti assai. Tutto comprendo.
 
    So chi t'accese;
 basta per ora.
 Cesare intese,
525risolverà.
 
    Ma tu procura
 d'esser più saggio.
 Fra l'armi e l'ire
 giova il coraggio.
530Pompa d'ardire
 qui non si fa.
 
 SCENA X
 
 EZIO, poi FULVIA
 
 EZIO
 Vedrem se ardisce ancora
 di opporsi all'amor mio.
 FULVIA
                                               Ti leggo in volto
 Ezio l'ire del cor. Forse ad Augusto
535ragionasti di me?
 EZIO
                                   Sì, ma celai
 a lui che m'ami, onde temer non dei.
 FULVIA
 Che disse alla richiesta? E che rispose?
 EZIO
 Non cedé, non si oppose,
 si turbò. Me ne avviddi a qualche segno.
540Ma non osò di palesar lo sdegno.
 FULVIA
 Questo è il peggior presaggio. A vendicarsi
 cauto le vie dissegna
 chi ha ragion di sdegnarsi e non si sdegna.
 EZIO
 Troppo timida sei.
 
 SCENA XI
 
 ONORIA e detti
 
 ONORIA
545Ezio, gli obblighi miei
 sono immensi con te. Volle il germano
 avvilir la mia mano
 sino alla tua; ma tu però più giusto
 d'esserne indegno hai persuaso Augusto.
 EZIO
550No, l'obbligo di Onoria
 questo non è; l'obbligo grande è quello
 ch'io fui cagion, nel conservarle il soglio,
 ch'or mi possa parlar con questo orgoglio.
 ONORIA
 È ver, ti deggio assai, perciò mi spiace
555che ad onta mia mi rendano le stelle
 al tuo amore infelice
 di funeste novelle apportatrice.
 Fulvia, ti vuol sua sposa
 Cesare al nuovo dì.
 FULVIA
                                      Come?
 EZIO
                                                      Che sento!
 ONORIA
560Di recartene il cenno
 egli istesso or m'impose. Ezio dovresti
 consolartene alfin; veder soggetto
 tutto il mondo al suo ben pure è diletto.
 EZIO
 Ah questo è troppo! A troppo gran cimento
565d'Ezio la fedeltà Cesare espone.
 Qual dritto? Qual ragione
 ha sugli affetti miei? Fulvia rapirmi?
 Disprezzarmi così? Forse pretende
 ch'io lo sopporti? O pure
570vuol che Roma si faccia
 di tragedie per lui scena funesta?
 ONORIA
 Ezio minaccia? E la sua fede è questa?
 EZIO
 
    Se fedele mi brama il regnante,
 non offenda quest'anima amante
575nella parte più viva del cor.
 
    Non si lagni se in tanta sventura
 un vassallo non serba misura,
 se il rispetto diventa furor.
 
 SCENA XII
 
 ONORIA e FULVIA
 
 FULVIA
 A Cesare nascondi
580Onoria i suoi trasporti. Ezio è fedele,
 parla così da disperato amante.
 ONORIA
 Mostri Fulvia al sembiante
 troppa pietà per lui, troppo timore.
 Fosse mai la pietà segno d'amore?
 FULVIA
585Principessa mi offendi. Assai conosco
 a chi deggio l'affetto.
 ONORIA
 Non ti sdegnar così, questo è un sospetto.
 FULVIA
 Se prestar si dovesse
 tanta fede ai sospetti, Onoria ancora
590dubitar ne faria. Dai sdegni tuoi
 come soffri un rifiuto anch'io m'avvedo.
 Dovrei crederti amante e pur nol credo.
 ONORIA
 Anch'io, quando m'oltraggi
 con un sospetto al fasto mio nemico,
595dovrei dirti arrogante e pur nol dico.
 
    Ancor non premi il soglio
 e già nel tuo sembiante
 sollecito l'orgoglio
 comincia a comparir.
 
600   Così tu mi rammenti
 che i fortunati eventi
 son più d'ogni sventura
 difficili a soffrir.
 
 SCENA XIII
 
 FULVIA
 
 FULVIA
 Via, per mio danno aduna
605o barbara fortuna
 sempre nuovi disastri. Onoria irrita,
 rendi Augusto geloso, Ezio infelice,
 toglimi il padre ancor; toglier giammai
 l'amor non mi potrai, che a tuo dispetto
610sarà per questo core
 trionfo di costanza il tuo rigore.
 
    Fin che un zeffiro soave
 tien del mar l'ira placata,
 ogni nave è fortunata,
615è felice ogni nocchier.
 
    È ben prova di coraggio
 incontrar l'onde funeste,
 navigar fra le tempeste
 e non perdere il sentier.
 
 Fine dell’atto primo